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La Babilonese: la recensione di Pasquale Giustiniani

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Il Prof. Pasquale Giustiniani, della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia meridionale recensisce sul suo blog "Giustiniani Reports" il romanzo di Antonella Cilento La babilonese (Bompiani):

«Certo, se a scrivere qui, oggi, fossero stati Dickens o Balzac, Checov o Mastriani, niente si sarebbe potuto nominare, men che meno lo sperma – in lingua locale sfaccimma… e tanto meno la profanazione erotica e spiona della madonna Assunta di Filomena Argento. Non se ne sarebbero trovati che pudichi, ma ammiccanti, cenni in francesi meno pii, come Maupassant, e ci sarebbero voluti altri anni ancora prima di cadere nelle pagine segrete di Apollinaire o in quella [quelle: piccolo raro svarione tipografico di questo libro di Cilento!] celebri di Lawrence (p. 264). Siamo, in questo gustoso passaggio narrativo del bellissimo e avvincente romanzo di Antonella Cilento, nella Sezione del romanzo intitolata “Filomena, 1881” (p. 205). Da esso ricaviamo i caratteri salienti dell’intreccio e del costrutto letterario di questo romanzo – che, forse, è anche un avvincente giallo, che attraversa, tra storia, magia e cultura popolare, varie epoche, arcaiche e moderno-contemporanee; a volte redatto in una fluente lingua napoletana –, il libro ci fa attraversare un lunghissimo arco di tempo: dal 653 a.C. (anno in cui inizia la prima Sezione, intitolata “Libbali” a p. 9), per giungere fino agli Anni Duemila (è questo il titolo dell’ultima Sezione, p. 309), allorché Alice, colpita da un fumetto intitolato Paperino e le lenticchie di Babilonia, viene trovata da Angelo «seduta a terra che piangeva. Non era riuscito a capire se a causa dal giornalino caduto sul piede o per un indicibile felicità fatta di ricordi, che era anche dolore» (p. 366). Sì, i ricordi: anche quelli della biografia di Cilento, che ci racconta gli inizi della scrittura di questo romanzo, «quando nel 2019 visitai una magnifica mostra allestita al MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, intitolata Gli Assiri all’ombra del Vesuvio» (p. 367). Scattò allora una specie di corto circuito «che sovrapponeva un amato fumetto dell’infanzia, Le lenticchie di Babilonia di Romano Scarpa, al teschio con le orecchie conservata a santa Luciella ai Librai, a una falsa mummia conservata nella sezione egizia del MANN, a molti altri eventi e luoghi della vita reale, cucendo insieme epoche lontane e destini immaginari» (p. 367). L’anno chiave, documenti alla mano, resta il 1881, allorché a Napoli sono in tanti - studiosi, archeologi, eruditi… -, che studiavano i reperti archeologici di Troia: una vicenda iniziata nel 1845 che, nel 1936, approda alla scoperta dell’antica Babilonia (cfr. p. 369). L’opera che leggiamo - uno scritto che si lascia divorare dal lettore, benché di carta e benché abbastanza voluminoso – è, per definizione dell’Autrice, «un romanzo fantastico» o anche una «avventura romanzesca» (p. 369). Ma è un romanzo che avvince, che dosa efficacemente la realtà colorita, drammatica e folklorica – come la peste a Napoli, scoppiata nove anni dopo la ribellione di Masaniello del 1647 (cfr. pp. 159-160) –, con la magia superstiziosa di una città «che se ne cade di fattucchiere, janare e zèngare» (p. 122). Città dove, ieri come oggi, può ritornare a vivere «questa egiziana, o araba, di nome Arballì o Abalì, che vive nella via di Carbonara ogni mattina… C’è chi la chiama Babbilònia, chi ’a Babbilonese» (pp. 122-123). Una città cosmopolita e insieme paesana: se «Londra appare all’esploratore di Assiria silenziosa, identica al deserto di Mossul d’inverno» (p. 69) e se il Collins del romanzo è «nato a Creta da madre greca, ho studiato a Napoli, Copenhagen, Parigi…» (p.74), «a Napoli i morti danno in sogno i numeri» (p. 75) e perfino Sardanapalo-Assurbanipal si potrebbe ripresentare; per esempio, nei lineamenti di archeologo ed esploratore, mentre ritorna periodicamente la leggenda della lamia, della principessa libica Lamia che «fu una delle mille amanti di Zeus» (p. 78) che ebbe in dono il potere di cavarsi gli occhi e rimettersi. Sì, dal passato bisogna sempre stare in guardia, come ricorda Jacobi a Mr Layard: «Stia in guardia dal passato, Mr Layard, cerca sempre di raggiungerci, non importa quanto andiamo veloci» (p. 80). Un passato, come quello della babilonese delle prime pagine del libro, che si muove a terra come un serpente, in una stagione arcaica, allorché, nell’annuale festa di Ishtar, tutto viene sottoposto a rituale perché il male si allontani (cfr. p. 30), mentre il fluire inesorabile del tempo fa presagire al grande Assurbanipal che «i popoli oppressi occuperanno il tuo letto, le tue tombe, i tuoi templi» e la sua «donna giace con un ebreo, la tua città caduta sarà nei libri dei profeti e Babilonia sarà vendicata e si vendicherà Gerusalemme» (p. 31). Il romanzo di Cilento è fatto di ritorni periodici, moderni e contemporanei di queste arcaiche atmosfere, in cui «una donna che era un uccello, che era un leone… E una bambina scalza con una lucerna accesa» (p. 72) ritornano; non soltanto nella memoria fantastica dello scopritore di Nimrud, ma di ogni lettore.

Ascolta la versione audio dell'articolo su "Giustiniani reports"

 

 

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