antonella cilento

La Babilonese: l'incipit

L’estate non asciuga mai l’acqua nei giardini di Ninive. Quest’anno poi che una grande battaglia si è conclusa con successo, il re del mondo ha ordinato che le terrazze siano sempre irrorate. Libbali si carezza i bracciali di smalto egiziano che porta ai polsi e contempla i cedri, i pini, le viti, gli ulivi che svettano sul palazzo. Nella piana sotto la città c’è un gran movimento di carri e cavalli, le porte blu si aprono e si chiudono di continuo, una fila ininterrotta di elamiti in catene viene smistata dai soldati. A guardarli dall’alto, fra le braccia di Ishtar e di Marduk, pare siano solo formiche, e Ninive il formicaio. Non è mai stata così triste, spaventata, agitata. La sua vita, lo sa bene, è finita. “Mia signora, è il momento, il re attende.” Si volta a guardare il corteo delle sue ancelle: assire, babilonesi, elamite ed ebree deportate. Le conta: sono dodici. I volti di tutte sono tristi, spaventati e agitati. Le elamite oggi dovranno servire il cibo, hanno già i piatti d’oro fra le mani che fra poco saranno riempiti. Dal giardino di palme compaiono anche gli eunuchi del re con i flabelli. “Andiamo,” dice, con la consueta voce autorevole, perché niente deve essere notato, né una lacrima, né un tremore. Le dame di corte sono già disposte in doppia fila e mentre passa fra loro incrocia gli occhi delle sorelle di Aramea, Yaba e Atalia, e quelli dell’assira Naqi’a, la più anziana. Naqi’a evita di guardarla in volto. Il destino è segnato per tutte. E le sue figlie? Se ne salverà almeno una? Ninlil ha sei anni, Nintu cinque, Ninmah quattro e Uttu appena due. Ha indossato una nuova corona, dono di suo marito per la vittoria: otto angeli caldei reggono la calotta di tralci di vite e poggiano i piedi su una fascia di girasoli e rose da cui pendono lapislazzuli che le battono sulla fronte. Una testa incoronata per una testa tagliata. Nel giardino superiore suo marito è già disteso per il banchetto.

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Aboca, 2023

">Solo di uomini il bosco può morire

Aboca, 2023

Solo di uomini il bosco può morire - Antonella Cilento

Eppure, la foresta e la dea che abita Cuma accolgono gli esuli.
"Solo di uomini il bosco può morire" può morire cerca di restituire la frontiera da cui la natura ci spia e in cui possiamo ancora rinascere.

Aboca, 2023">Leggi tutto

Solo di uomini il bosco può morire: la critica

Con l'inchiostro dell'invenzione letteraria, della ricostruzione storica, della favola allegorica e del reportage-denuncia, nel suo utimo libro "Solo di uomini il bosco può morire" (edizioni Aboca, pagine 272, euro 18) Antonella Cilento intreccia passato e presente un uno spazio-tempo sospeso. Conduce il lettore in un viaggio veso un altrove vicino e lontanissimo che ha del magico, perché si trasforma in un nostro luogo interiore. È la foresta regionale di Cuma: chi è nato a Napoli l'ha sotto gli occhi ma per lo più non la vede o la lambisce solo frequentando i ristoranti della zona (...)
Titti Marrone, Il Mattino
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La foresta di Cuma, misteriosa e nascosta, ai piedi dell'altura su cui si erge l'acropoli della città antica dondata dai coloni greci, è la protagonista del nuovo libro di Antonella Cilento, Solo di uomini il bosco può morire (Aboca). Non la conosce quasi nessuno, questa foresta, ma sta lì da millenni, stupefacente reperto vivente di quella che era la riccheza della vegetazione sulla costa settentrionale della Campania prima del saccheggio dissennato dell'uktimo secolo. Straordinariamente presente e incredibilmente antica, la foresta è il luogo in cui la scrittrice si immerge e si perde con il marito Paolo, in un viaggio che è insieme fisico e metafisico.
(...) Limpida e decisa, la scrittura di Antonella Cilento si muove fra rigore documentario e saldezza argomentativa senza rinunciare a un impianto narrativo solido che ama indugiare, come è da sempre nelle sue corde, nel piacere della parola sensuale e dell'allusion arguta. L'amore per la sua terra, la passioe civile e l'urgenza etica vibrano in ogni parola. Scintille di entusiasmo contagioso.
Armida Parisi, Roma
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Solo di uomini il bosco può morire: l'incipit

LA TAZZA DI DIO

È il cielo sopra Cuma come una gigantesca tazza di finissima porcellana dentro cui scorrono, silenti, le nuvole. Questa tazza appartiene a Dio, che attende di bere il mare. Da tempo indefinito Dio la tiene capovolta, rimanda il suo tè, così il mare è caduto sulla terra e le acque ospitano piante e animali. Nella tazza volano gli uccelli e passa il cielo: tutto è lento, mentre la luce vi splende, eterna. Di notte, vi brillano le stelle. Il giorno in cui Dio sollevasse la tazza, la terra, scoperchiata, morirebbe. Viviamo, quieti e ignari, sotto la tazza di Dio. Per il cielo di Cuma, per le sue piante, per la sua foresta vale quel che scrive Wen Zhenheng nel Trattato sulle cose superflue: “Si dovrebbe poter scrivere con la perfezione delle cose superflue, azzurre come il cielo, sottili come la carta, splendenti come uno specchio e sonore come un campanello.

1.

Ho iniziato ad andare nella Foresta di Cuma quando ho compiuto cinquant’anni. Li ho compiuti nel novembre del primo anno di peste, ventesimo del nuovo millennio, l’anno in cui ho iniziato a vedere che il mio destino si ripeteva, compiva un cerchio e s’allargava, come fanno i cerchi nel tronco degli alberi.

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