antonella cilento

Solo di uomini il bosco può morire: la critica

Con l'inchiostro dell'invenzione letteraria, della ricostruzione storica, della favola allegorica e del reportage-denuncia, nel suo utimo libro "Solo di uomini il bosco può morire" (edizioni Aboca, pagine 272, euro 18) Antonella Cilento intreccia passato e presente un uno spazio-tempo sospeso. Conduce il lettore in un viaggio veso un altrove vicino e lontanissimo che ha del magico, perché si trasforma in un nostro luogo interiore. È la foresta regionale di Cuma: chi è nato a Napoli l'ha sotto gli occhi ma per lo più non la vede o la lambisce solo frequentando i ristoranti della zona (...)
Titti Marrone, Il Mattino
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La foresta di Cuma, misteriosa e nascosta, ai piedi dell'altura su cui si erge l'acropoli della città antica dondata dai coloni greci, è la protagonista del nuovo libro di Antonella Cilento, Solo di uomini il bosco può morire (Aboca). Non la conosce quasi nessuno, questa foresta, ma sta lì da millenni, stupefacente reperto vivente di quella che era la riccheza della vegetazione sulla costa settentrionale della Campania prima del saccheggio dissennato dell'uktimo secolo. Straordinariamente presente e incredibilmente antica, la foresta è il luogo in cui la scrittrice si immerge e si perde con il marito Paolo, in un viaggio che è insieme fisico e metafisico.
(...) Limpida e decisa, la scrittura di Antonella Cilento si muove fra rigore documentario e saldezza argomentativa senza rinunciare a un impianto narrativo solido che ama indugiare, come è da sempre nelle sue corde, nel piacere della parola sensuale e dell'allusion arguta. L'amore per la sua terra, la passioe civile e l'urgenza etica vibrano in ogni parola. Scintille di entusiasmo contagioso.
Armida Parisi, Roma
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Cos’è questo libro, allora, un memoir? È di certo anche questo, ma trattandosi di Antonella Cilento è qualcosa di più: qui leggiamo un saggio sull’ambiente e su cosa significhi (ancora) sentirsi umani e agire da tali, ne leggiamo un altro di storia, muovendoci tra Cuma, Averno, il Monte di Procida, Miseno, l’isolotto di San Martino, seguendo le vicende di guerre, tradimenti, invasioni, tesori nascosti, sotterfugi, vulcani in attesa e un mare stupendo. Infine, leggiamo un romanzo perché nell’immaginario di Cilento i cavalli di epoche lontane si mescolano a quelli che si muovono oggi sulla spiaggia deserta, compaiono volpi e antiche usanze a loro collegate. E quando leggiamo del giglio di Cuma ci incantiamo perché esiste, eppure lo riconosciamo bello come solo in un romanzo può essere.
Solo di uomini il bosco può morire è sul serio un libro sulle scelte, individuali e collettive, di vita, di pensiero, di libertà raggiunte o meno, di visione inesistente sui giorni a venire. Se la foresta muore solo per mano nostra, anche noi così moriamo, e – ci dice Cilento – lo facciamo scegliendo ogni giorno un modo sbagliato di stare nel paesaggio, di spostare la morte, appunto, più in là.
Antonella Cilento ha di nuovo pubblicato un libro da cui trarre qualcosa, offrendo un suo punto di vista su questi ultimi anni; un libro, soprattutto, bello, armonioso.
Gianni Montieri, Huffington Post
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Con il suo nuovo libro (...) Antonella Cilento racconta, utilizando una lente bifocale, appassionata e critica, molto personale e al tempo stesso distaccata nel definire il quadro storico-culturale, la straordinarietà di ettari e ettari di vegetazione della Foresta di Cuma che commuovono per la loro bellezza che resiste da secoli, e che fa anche molto arrabbiare per le condizioni di abbandono in cui versano. Però, prima di entrare nel cuore del bosco (...) Cilento guarda in sé stessa, nel profondo, mettendosi a nudo.
La foresta di Cuma è un luogo dell'anima di Cilento, a scrittrice lo ama, nel tempo ha stabilito un rapporto forte, duraturo, imprescindibile (...) lì c'è tutto: l'origine della civiltà, un fondamento di equilibrio che lentamente è andato perso, che vive in una forma schizofrenica (...)
Così il libro di Antonella Cilento da memoir narrativo, con puntuali inserti storico-letterari, diventa un reportage cherestituisce lo stato in cui vivono i luoghi che diciamo di amare.
Pier Luigi Razzano, la Repubblica
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Questo libro è un racconto e una riflessione negli anni della “peste”, uno stimolo a un cambio di passo, anche piccolo, nella vita quotidiana. La scrittrice napoletana ripercorre la sua vita (ma che è anche la nostra), dall’infanzia alla maturità, con uno sguardo differente, critico e analitico. (...) Una passeggiata nella Foresta Regionale di Cuma addormentata, come nelle favole è l’occasione per una riflessione più ampia, dove non mancano citazioni letterarie e artistiche, ricostruzioni storiche e riferimenti cinematografici, in una struttura narrativa appassionata cui Antonella Cilento ci ha abituati. Da questa foresta, che ha visto millenni di storia dell’umanità e che ora l’umanità sta definitivamente distruggendo, parte una riflessione sulla natura e sull’uomo stesso.
Giulia Mozzato, Maremosso
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Nel corso della pandemia, sfuggendo ai lanciafiamme dell’occhiuto governatore della Campania, Vincenzo De Luca, la scrittrice Antonella Cilento e il suo compagno Paolo hanno scoperto la Foresta di Cuma. La silva gallinarum dei Romani, uno sciupato incanto che resiste a due passi da Napoli, dall’antro della Sibilla e dall’acropoli di Cuma. Luogo sacro dove approdarono gli Eubei e camminò Enea, di cui forse non coglie la magia chi ci viene ad allenare i cavalli o a fare pic nic (lasciando magari plastiche e rifiuti tra le piante).
Magia invece lietamente attinta dall’autrice, che fu bambina di città negli anni Settanta e vide la natura nell’altrove sporadico delle vacanze, filtrato da pediatri lunatici o svogliati, succube di diete per l’infanzia oggi dismesse, lisergici pot-pourri di dolci e carni rosse anche per coloranti, di pesticidi e antibiotici più gli antibiotici “somministrati a ogni febbricola”; era, alcuni di noi se lo ricordano, l’epoca del Rosso Antico, dell’Eternit, dell’euforia industrial-alimentare. Antonella, che fu come quasi tutti i suoi coetanei di allora, non è stata come molti suoi coetanei di oggi, che in pandemia hanno (ri)scoperto poltrone&sofà.  Assecondando un impulso ribelle da Waldgänger, è passata al bosco ricercando la storia millenaria della ‘silva’ nei libri, rivivendola nelle passeggiate e nelle minute percezioni, per capire quanto e come il tempo – ma soprattutto gli uomini – avessero modificato il luogo. Perché, come recita il titolo di questo libro reportage, ‘Solo di uomini il bosco può morire’ (272 pp., Aboca editore, 18 euro): più per le offese patite negli ultimi decenni che per le vicende travagliate dei precedenti tremila anni. Potrà comunicare assai meno di una scrittrice o uno scrittore di talento qualsiasi saggio scientifico o storico, o qualsiasi articolo, perché solo lo scatto emozionale contenuto in pagine come queste ti porta a empatizzare con un luogo, a catturarne suggestioni, ad assumerne nel cuore la salvezza.
Francesco Palmieri, AGI
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