La Babilonese: la critica
«Chi può sapere quante volte siamo stati qui, in questo sogno dove tutti abitiamo?». La chiave d'accesso a “La babilonese”, il nuovo romanzo di Antonella Cilento è nelle pieghe dell'interrogativo insinuante, sfuggente e presago che nelle sale del British Museum, in un inverno nevoso della Londra dell'anno rivoluzionario 1848, monsieur Jacobi modula sul verso shakesperiano rivolgendosi a Henry Layard. Davanti, l'astuto levantino Christòs Annibale Jacobi De Ulloa ha una tavoletta appena emersa dagli scavi di Ninive e densa di segni cuneiformi da decrittare e tradurre, trasferire al presente. (...)
In fondo, il trauma è l'autentico protagonista de La babilonese: l'irruzione di un evento che irrompe nella linea dei giorni sconvolgendone l'andamento e produce la crisi dell'organismo urtato.
Narrarlo rappresenta la possibilità di elaborare lo sbandamento subito, liberarsi dalla patologia della memoria che fa ciclicamente rivivere frammenti del passato. La letteratura ombra ed esperienza, preciserebbe Alberto Manguel.
Generoso Picone, Il Mattino
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Da un lato, tutto quanto è richiesto come materiale da romanzo storico; dall’altro, la componente inventiva che però in questo caso risponde a una esigenza esattamente opposta alla prima: questi i due percorsi che s’intrecciano di continuo in La babilonese di Antonella Cilento, poggiando questa mobilità sulla figura della protagonista. Soprattutto allorché questo personaggio inventato, inizialmente proposto con tecnica da romanzo storico, diviene «visione» nei quadri narrativi successivi, che si dipanano in un arco temporale quanto mai ampio, tanto che ciascuno di essi potrebbe anche darsi come storia a sé, non fosse che a far da collante figuri appunto «la babilonese».
(... un romanzo) fatto di tensione, ricostruzione, lingua e stile narrativo di cui godi soprattutto nelle fasi assira, londinese, le due secentesche napoletane, e nella seconda parte del giorno d’oggi.
Ermanno Paccagnini, La lettura
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È un borgesiano «museo immaginario di mutevoli forme» questo vagare nei millenni. Una storia che rigo dopo rigo disarciona la Storia, la confonde, la depista, le nasconde il copione, la dissolve. «In questo sogno che tutti abitiamo» non è forse l'epigrafe ideale della favolosa avventura? (...)
Ninive e i riverberi nel tempo della sua malìa assumono sulla pagina impressa di Antonella Cilento - direbbe Vitaliano Brancati - «il forte e misterioso rilievo che devono avere nella sensibilità i ciechi» gli oggetti. Perché solo non credendovi (non"vedendola") si può onorare, salvare, far brillare la realtà, sottraendola al «tanfo pesante delle cose andate a male». (...)
Ne La babilonese napoletana il personaggio che cerca e trova felicemente il suo autore è la lingua, versicolore, musicale, miserìcordiosamente caustica, schioccante, luminosissima, naturalmente vocata a «dorare il mondo». Sì, «resuscita pure le capuzzelle dalle fosse calcinate...» ( ...)
Da quanto, la Babilonese, agognava uscire dalla lampada? Ecco la sua fortuna: avere incontrato Antonella Cilento, così in sintonia con il Durrell di Justine: «Non eludere il destino, come vorrebbero le persone comuni, ma compierlo nella sua potenzialità reale - l'immaginario»
Bruno Quaranta, Robinson / La Repubblica
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... Lo stile dell'autrice è nervoso, procede per schegge e frammenti, con frasi brevi, prevalentemente costruite con l'uso del verbo al tempo presente. Mescola lingue e dialetti, il ritmo del giallo con suggestioni d'oriente, il realismo crudo con rappresentazioni oniriche, luoghi e tempi differenti e lontani, dalla favolosa Ninive alla Napoli barocca e ottocentesca, alla Londra vittoriana, al contemporaneo duemila.
(...)
Antonella Cilento dimostra di conoscerla bene la storia come insieme di fatti e rappresentazioni. Questo non è un romanzo storico.
Ma la sua autrice conosce e mostra di saper usare le fonti, i documenti, per ricostruire ambienti, atmosfere e personaggi. Riesce bene a intrecciare la storia con la memoria: ossia con i fantasmi e i prodotti della coscienza, dell'inconscio, dell'attività onirica.
Aurelio Musi, La Repubblica
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Raccontare tutto quanto contiene questa scatola magica che è il romanzo di Antonella Cilento è troppo difficile (...)
Capodimonte, Posillipo, la Sellaria, Toledo, Spaccanapoli, i vicoli, gli odori del cibo, i santi, le superstizioni, la Vicaria, l’Arte della Seta, il ragù, i ziti con la genovese, la passione, il sesso violento, la morte... Una lingua che parla anche a chi la capisce poco, un romanzo molto pieno, molto colto, molto affascinante.
Elisabetta Bolondi, Sololibri
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